“Le icone dell’acqua” di Alessandro Pellegatta
Parlando del Tavoliere, Giuseppe Ungaretti scrive che “in tutta la Puglia l’acqua potabile ha un valore di miracolo”. Nel suo percorso di nomade, viaggia senza una meta, alla ricerca di un paese irraggiungibile. Agli occhi del poeta l’arido Tavoliere fa riemergere i ricordi della sua terra “affricana”(Ungaretti nacque ad Alessandria d’Egitto), arsa dal sole, “creatore di solitudine”. Il trinomio deserto-acqua-luce segna tutti i paesaggi ungarettiani. Le icone dell’acqua sono una delle caratteristiche delle Prose daunie (1934). Ungaretti descrive le fontane di Foggia, una città che da Sahara diventa Tivoli grazie all’acqua preziosa di quel miracolo ingegneristico che è l’Acquedotto Pugliese. La sete atavica delle Puglie viene interrotta: spezzando la luce del sole, quest’acqua miracolosa appare festosa.
Elemento sacrale per l’uomo abituato ad affrontare i deserti, l’acqua stempera ogni terra attraversata. L’acqua è libera, e in essa è rappresentata la voglia di nomadismo dell’uomo, scorre e penetra nelle profondità ancestrali. La sostanza poetica di Ungaretti è una “parola scavata”, similmente all’acqua che penetra nelle profondità uterine delle cisterne piovane dei Sassi di Matera, misteriosa e vivifica. Santa Maria de Idris è la famosa chiesa rupestre che sorge nella parte alta dello sperone roccioso del Montirone, nelle vicinanze di San Pietro Caveoso: in esso la Vergine Maria è Odigitria, cioè guida della Via o dell’Acqua. Alle fonti dell’Acquedotto Pugliese, Ungaretti dice di aver conosciuto il deserto e di aver visto da lontano un “filo improvviso di acqua chiara e viva” che “faceva nitrire di gioia i cavalli”. A Venosa beve l’acqua alla fontana millenaria. Al poeta tornano alla mente antiche apparizioni: una casina visitata sul Gargano, dove una gronda versava in un angolo dentro un’umile casa l’acqua raccolta e piovuta sul tetto. Un’acqua rara che finiva in un pozzo e veniva conservata come una reliquia.
In quest’estate siccitosa, anch’io ho voluto, nel mio itinerario mitico-lirico nelle Puglie e in Basilicata, ricordare a me stesso la sacralità di questo elemento. A Irsina mi sono addentrato nei Bottini, cunicoli sotterranei che seguono l’andamento della falda acquifera. Qui l’acqua captata dal sottosuolo si deposita in vasche di decantazione, e dopo essere stata purificata viene incanalata fino alla settecentesca fontana esterna, da cui sgorga fresca e pura da dodici bocche miracolose. Sì, lo stesso miracolo dell’acqua che ha dato vita ai paradisi persiani, creati grazie ai qanat. e che ha saputo spezzare i deserti mediorientali, generando luoghi di rinascita fisica e mistica. Acqua e aridità sono i due elementi che appaiono indissolubili e segnano i profili della Capitanata. Tutto il cosmo ruota da sempre intorno all’acqua e alla terra. Pianure, tavolieri, deserti e distese d’acqua si compartiscono la topografia del mondo.
L’acqua è sacra, e non è una risorsa inesauribile. E oggi le Puglie appaiono sempre più assetate. Le acque del Sele, del Calore, del Fortore e del Pertusillo, deviate da montagne remote verso le Puglie sempre più siccitose non bastano più. Le sorgenti si impoveriscono e i consumi d’acqua crescono sempre più. Nel Salento le acque dolci del sottosuolo sono sempre più minacciate dalle infiltrazioni di acqua marina. Il tema dell’acqua richiede oggi nuove politiche agricole e di gestione del territorio, nuove solidarietà tra Regioni e Paesi, nuove capacità progettuali ma anche una nuova coscienza ambientale. Anche la cultura e la sensibilità dei più può fare la differenza. Torniamo allora a rileggere le Prose daunie di Ungaretti, a rivedere quel Vangelo Secondo Matteo che Pier Paolo Pasolini ambientò non casualmente nei paesaggi arcani e antichi delle Murge. A rispettare l’acqua, intorno alla quale an che le future generazioni rivedranno la dimensione totalizzante della morte e della vita.