Se ci sarà una rinascita (oso dire un nuovo rinascimento) dell’intera umanità questo non potrà che partire dalle periferie agricole.
La nostra futura sopravvivenza potrà solo essere assicurata da una riscoperta delle nostre tradizioni (che sono il frutto di un esperienza millenaria di convivenza ecologica dell’uomo con la natura) rielaborata e rivista secondo le nostre attuali conoscenze scientifiche. In ogni angolo del nostro pianeta l’umanità ha imparato a convivere con la natura inventando strategie di volta in volta diverse. Oggi il gioco delle grandi multinazionali del cibo (che sappiamo sono le più potenti del mondo) è chiaro e mostra i suoi difetti. Costringendo il coltivatore ad adottare tecniche di lavorazioni inquinanti e costose, all’acquisto di sementi sterili, spingono l’agricoltura di piccole o medie dimensioni in una condizione economica di precarietà e di perdita economica costringendo milioni di persone all’abbandono dei campi, alla migrazione verso centri urbani in cui troveranno condizioni di vita peggiori di quelle che hanno lasciato.
Invertire il paradigma si può e noi che viviamo in Occidente, noi che abbiamo capito, noi che possiamo reinventare il futuro abbiamo il dovere etico e la responsabilità di farlo. E poi riprogettare il futuro contaminando il passato con le nostre attuali competenze è una sfida all’innovazione entusiasmante. Giuseppe, qui ritratto nella foto, sembra mostrarci la direzione.